Il 15 gennaio del 1929 nasceva Martin Luther King, premio Nobel per la pace. Sono tanti i pensieri, i messaggi che il profeta della nonviolenza ci ha lasciato in eredità ma, non potendo citarli tutti, scelgo uno in particolare: “Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti”. La scelta cade su questi versi perchè credo che esista qualcosa di più grave del silenzio degli onesti. Mi riferisco al mormorio, alle frasi pronunciate a mezza voce, a un dire e non dire che crea il vuoto e disorienta. Anzitutto andrebbe evidenziato che se un onesto rimane in silenzio quando le circostanze richiederebbero un suo intervento, non è del tutto onesto, almeno non intellettualmente. Le cause per cui una persona rimane in silenzio possono essere tante. Certo è che molte situazioni nascoste hanno bisogno di una voce per emergere, per non essere destinate all’oblìo, per non generare ingiustizia.
Rimanere in silenzio è comunque una scelta di campo. Parlare a mezza voce no. E’ come fare un passo in avanti e mezzo passo indietro. Rimanere in bilico, senza un approdo, utile a noi e agli altri. Qualche giorno fa una donna ha affidato ad un post di Facebook il suo sdegno per aver assistito, a suo dire, ad una ingiustizia, mentre viaggiava in treno. In sostanza, un controllore avrebbe strattonato una signora di colore, incinta, munita di regolare biglietto. La donna si domandava il perchè di quel comportamento, con le mani sul petto e gli occhi rivolti al cielo. E via con i commenti dei followers, con i luoghi comuni, con l’esaltazione della sensibilità della scrivente. Come può essere definito un post così? E’ una denuncia? Una battaglia? Una presa di posizione contro una cultura di esclusione?
No, è uno sfogo a mezza voce, che non ha cambiato nulla nella vita del controllore e della controllata. Ci piace assicurare al mondo, convincere noi stessi di avere una sensibilità spiccata, ma non fino al punto di esporci per difendere l’altro nelle sedi opportune. E allora il treno va, prosegue, è proprio il caso di dirlo, senza che nulla cambi sul serio. “Il 1 dicembre del 1955 – leggiamo in un documentario di RAI News – a Montgomery in Alabama, Rosa Parks, sarta e attivista nera della National Association for the Advancement of Colored People, rifiuta di cedere il suo posto ad un bianco sull’autobus. Dal suo arresto prende il via il boicottaggio degli autobus e King viene scelto come portavoce dell’iniziativa. Dopo 381 giorni la vittoria: nel novembre del 1956 la Corte Suprema stabilisce l’incostituzionalità degli autobus segregati”.
Pensiamo per un attimo a cosa sarebbe successo se Rosa Parks avesse ceduto il posto, seppur malvolentieri, per poi denunciare altrove l’accaduto, anche sui social, immaginando per un attimo la loro esistenza in quell’epoca. Non sarebbe cambiato nulla. Forse non ce ne rendiamo conto, ma viviamo tuttora di rendita. I sacrifici compiuti ieri dagli altri sono sono le nostre libertà di oggi. A noi toccherebbe non soltanto custodire le conquiste del passato, ma arricchire, per usare le parole di Martin Luther King, il caveau delle opportunità per chi verrà dopo di noi.
A mezza voce tutto questo non può essere possibile.