-1.8 C
New York
martedì, Febbraio 11, 2025

Un nuovo politichese?

Luca Serianni, linguista e filologo italiano, in un’intervista rilasciata a Repubblica qualche annetto fa, dichiarò che “il politichese, a parte saltuarie ricomparse, è andato via via allontanandosi dal nostro lessico politico. Era un modo di esprimersi che tendeva a sfumare le posizioni, ad annacquare i concetti. Oggi i politici preferiscono parlare in modo più diretto, favoriti in questo anche dalla televisione, divenuta l’arena politica per eccellenza. E cercano di non farsi costringere dentro i confini di un determinato linguaggio politico”.

Sempre Serianni, nel 2008, affermò che “Il politico finisce con l’essere apprezzato in primo luogo se è un grande comunicatore, se “buca lo schermo” […]: la tecnica del messaggio elettorale tende a identificarsi sempre più con una pura tecnica pubblicitaria, indifferente rispetto al prodotto da vendere. Se questo è vero, a soffrirne è magari la consapevolezza civica del Paese, l’effettiva capacità dell’opinione pubblica di maturare un giudizio politico, ma non certo la grammatica. Se di grammatica diamo una definizione larga […] non c’è dubbio che i pubblicitari – e i politici che si sforzano di seguirli a ruota – siano grammatici sopraffini, che conoscono tutti i mezzi per strutturare bene un messaggio e per assicurarne la massima efficacia possibile. Non sarei altrettanto comprensivo se dovessi giudicare non da storico della lingua, ma da cittadino pensoso della cosa pubblica”.

Che il politico scelga oggi di parlare in maniera più diretta non vuol dire che quanto affermi sia completamente comprensibile o che non ci sia comunque un tentativo, velato o meno, di sviare i cittadini dal cuore dei problemi. Il politichese non è un modo di esprimersi che i politici hanno completamente abbandonato. Forse il politichese si è evoluto attraverso l’uso di parole o verbi dal significato molto chiaro, anche se solo apparentemente. Pensiamo, ad esempio, al verbo rimodulare. Quante volte abbiamo sentito parlare della necessità di rimodulare, della rimodulazione di una proposta, di un provvedimento, soprattutto in riferimento ai contenuti della Legge di Bilancio 2019.

L’utilizzo del verbo rimodulare dà l’idea che un provvedimento importante, anche se rimodulato, sia stato comunque fatto e che pertanto una promessa elettorale sia stata mantenuta. Quale sia la percentuale di fedeltà alla proposta che la rimodulazione consente di mantenere lo scopriremo strada facendo.

Il bene comune non è un obiettivo facile da raggiungere, soprattutto in questo tempo in cui le risorse da investire nel Paese non sono tantissime. Parliamo di bene comune, non di particolarismi, di difesa degli interessi particolari a danno di quelli generali. Proprio per questo i politici dovrebbero adottare un linguaggio chiaro e optare per una narrazione realistica dei fatti.

Rimane pur sempre una domanda: interessa ancora la realtà?

 

 

Rispondi