Ci stiamo fregando con le nostre stesse mani. Eh sì, è proprio il caso di ammetterlo. Per troppo tempo ci siamo sforzati di vedere il bicchiere mezzo pieno, di accogliere e valorizzare ciò che era presente rispetto a ciò che mancava. Abbiamo valorizzato una pienezza, pur sempre a metà, attribuendole probabilmente un di più che oggi sta evaporando, lasciando davanti ai nostri occhi una realtà complessa e impoverita. Lo stato in cui versa oggi il nostro Paese è sintomatico di una mancanza per troppo tempo trascurata, che ci ha “costretti” a scegliere al ribasso, fino a simpatizzare per un male minore in ambito istituzionale, lavorativo, vocazionale.
Un saggio dello scempio di cui siamo stati capaci: non so a chi dare il mio voto alle elezioni politiche, regionali, amministrative? Vado comunque a votare, partecipo. Tutto questo per scegliere il male minore, la coalizione, il candidato che in un determinato momento esorcizzano le mie paure o mi garantiscono un orticello di benessere. Il tempo passa, il sogno di bene che ognuno di noi porta nel cuore è svenduto con meschinità. Il senso del dovere è intorpidito dalla svogliatezza, scarico della possibilità di futuro di cui è capace. Non reagisco, non voto più e neppure penso che anche io potrei essere parte di un progetto, di una realtà politica che possa offrire una alternativa, possa rompere uno schema in cui si contrappongono, da troppo tempo ormai, bandiere sporche di sangue innocente e vanagloria.
Altro scenario, figlio di una mancanza: milito in un partito, ma non importa se il mio ruolo sia strumentale al raggiungimento di obiettivi che non combaciano con la cura del bene comune, sin dal metodo con cui gli apparati dirigenti stilano i listini. Un termine drammatico, che ricorda gli elenchi di articoli prezzati per essere venduti. Compiacersi di appartenere ad una cerchia di persone che conta può placare la fiamma della passione politica? Riempie il mio oggi, un presente nel quale mi viene raccomandato di vivere, senza però aver cura di una visione per il domani di cui anche io sarò parte, in quanto destinatario di non scelte da me “compiute”.
Ancora: come intervengo in ambito occupazionale in presenza di una non univoca cultura del lavoro? Lavoro come fatica o autorealizzazione? Come far conciliare le due visioni di lavoro che nelle aziende si incontrano e si scontrano? Vado a tentativi, ma solo per soddisfare le richieste di una platea di elettori da coccolare o intercettare. Eppure, le aziende sono insieme comunità e società. La loro organizzazione è un tema politico, nel senso di considerazione e azione del bene e della non demonizzazione del profitto. Altro che tema elettorale!
E ancora: scrivo per un giornale, ma non importa se non posso dire ciò che penso e ciò che vedo, se non posso indagare la realtà per denunciare le sbavature del potere partitico, economico e finanziario. La stampa c’è, cartacea e online, ma la libertà di pensiero? Lo spirito critico? Dimentichiamo così le parole e senza le parole non c’è pensiero.
Guardare il bicchiere mezzo pieno è di per sé una buona pratica, ma il rischio di trascurare ciò che manca è reale. Ciò che manca non può essere identificato con qualcosa di superfluo, perchè è necessario che ci sia.
Se la mancanza non verrà colmata, aumenterà sempre di più. Anche una goccia ci offrirà l’illusione di un bicchiere mezzo pieno, ma l’arsura, a quel punto, sarà inevitabile.
Il male minore lascerà lo spazio ad un già elevatissimo astensionismo. I giornali saranno definitivamente trasformati in veline dei partiti, con buona pace dello spirito di critico, della libertà di stampa, della ricerca della verità. Gli spazi pubblici per la discussione e partecipazione saranno sempre più risicati e altro ancora. La conquista democratica non è irreversibile e, dunque, non occorre aggiungere ulteriori argomenti a sostegno di un urgente cambio di passo.
Dobbiamo renderci conto che quella pienezza, seppure a metà, che abbiamo visto in quel “dannato” bicchiere mezzo pieno è stato semplicemente un miraggio di tutto ciò che avrebbe dovuto esserci da sempre e che, invece, è mancato.
Siamo mancati noi, in buona sostanza laici cattolici. Al dovere di contare abbiamo preferito il diritto di riscuotere e ottenere rendite di posizione e di potere, in politica come nella Chiesa. E’ mancata la nostra visione di Paese e di futuro; anzi, molte volte l’abbiamo, e tuttora avviene, identificata con la visione appartenente a qualche prelato.
L’uomo può volgersi al bene nella libertà (Gaudium et spes, 17). E’ tempo, dunque, di usare con intelligenza la nostra libertà per il dovere di contare, di avere peso nei luoghi in cui le regole del gioco necessitano di cambiamenti giusti, capaci di giustizia. Per fare questo dobbiamo e possiamo rispondere in primis ad una coscienza rettamente formata, per questo libera di agire anzitutto di fronte a Dio. Le sfide della contemporaneità sono diverse e nessuna crociata è possibile, proprio in virtù di una libertà chiamata ad organizzare il bene.