“Che ne sai tu di un campo di grano?” cantava Lucio Battisti negli anni ’70. Proprio con la parola “campo” vorrei aprire questa breve lettera indirizzata ai rappresentanti delle più importanti sigle del sindacato italiano: CGIL, CISL e UIL.
Il termine “campo”, in effetti, consente in maniera immediata di definire bene il punto centrale di questa riflessione, il filo rosso dal quale non possiamo distogliere l’attenzione: le terre assolate dell’Italia, nelle quali, ogni giorno, soprattutto in questa stagione, lavorano uomini e donne, italiani e non, assunti con contratti regolari o a nero, “reclutati” attraverso vie legali o illegali, con l’intermediazione dei caporali, schiavi, a loro volta, del potente di turno.
Proprio lì deve sostare il pensiero di noi tutti, anche il vostro, cari sindacalisti; lì dove la terra non è irrigata dalla pioggia ma dalle lacrime di chi deve sopportare, ogni giorno, un giogo troppo pesante, che schiaccia e impedisce di contemplare un orizzonte diverso da quello marchiato dalla rassegnazione.
Vi domando: esiste un veleno peggiore della rassegnazione al male e alla schiavitù?
La memoria di questi fuochi accesi, che divampano sotto i nostri e vostri occhi, deve indignare a tal punto da indurci a pensare al “campo” principalmente come luogo in cui va combattuta la buona battaglia a favore della giustizia e della pace, contro ogni schiavitù.
No, non pensate minimamente alle piazze! Pensate invece alla terra, fatta di polvere, di insetti, bagnata dal sudore del lavoratore. Familiarizzate con l’odore dei campi.
Quante delle azioni previste dal Protocollo d’Intesa, sottoscritto il 27 maggio scorso, sono state avviate? L’entusiamo iniziale si è tradotto in sinergia con gli altri soggetti che hanno aderito all’accordo? Chi lavora nei campi, oggi, può avvertire la brezza di un vento che ha cambiato direzione?
Non è mia intenzione sminuire o delegittimare con queste parole il ruolo che avete fin qui svolto. Credo fermamente che abbiate ancora tanta storia da scrivere e tanto bene da fare con il sudore del vostro lavoro e del vostro sacrificio. Credo che proprio il sudore che emergerà dalle pieghe della vostra missione sarà il rimedio e la cura per le piaghe di quell’immobilismo che a volte ha avuto e ha il sopravvento, nonostante l’organizzazione di scioperi e manifestazioni.
In questi mesi vi ho sentito invocare spesso, tra i provvedimenti da adottare nella lotta al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura, il rinnovo dei contratti provinciali del lavoro. Quale sarà il vostro ruolo in questa operazione? Quali saranno le priorità sulle quali focalizzerete la vostra attenzione?
Penso spesso a quei sindacalisti che nel 1944 hanno combattuto per veder riconoscere ai contadini riuniti in cooperative ciò che la legge Gullo stabiliva, ossia il diritto di ottenere in concessione le terre incolte o mal coltivate degli agrari. Per questa missione, combattuta contro chi ostacolava le richieste di assegnazione delle terre, il padronato agrario e la mafia, alcuni sindacalisti pagarono addirittura con la propria vita. Proprio il ricordo di figure come quella di Placido Rizzotto, narrate nel volume “Sicilia 1944-1948: la strage ignorata. Sindacalisti agricoli uccisi dalla mafia”, sono utili, non tanto per la titolazione di osservatori o associazioni, quanto per rinvigorire la missione di tutto il sindacato italiano. Placido Rizzotto, come gli altri sindacalisti menzionati nel volume, hanno investito tanto coraggio nella difesa dei più deboli del loro tempo e hanno anzitutto saputo riconoscere e rispettare la distinzione tra oppressore e oppresso, scegliendo di schierarsi a favore di quest’ultimo.
Oggi domando a voi: nel nostro tempo, nel mondo del lavoro, chi è l’oppressore e chi l’oppresso? Il potere smisurato delle lobbies e il maquillage al quale si è sottoposta la mafia negli ultimi tempi potrebbero offuscare la lucidità necessaria per individuare e separare le due categorie.
Qual è l’obiettivo che vi prefiggete? Difendere le ragioni dell’oppressore, dell’oppresso o provvedere alla vostra sopravvivenza?
Ripeto, ritengo molto positivo il vostro ruolo di rappresentanza e la vostra presenza, pertanto vi chiedo di ricominciare a leggere daccapo questo testo e queste provocazioni, immaginando che a scrivere non sia una cittadina qualunque, bensì il vostro collega Placido Rizzotto. Proprio per le vicende che hanno tratteggiato i lineamenti della sua storia, penso che ciò che avrebbe da dirvi oggi non si discosterebbe molto dai miei pensieri e dalle mie speranze.
La sua storia non può non continuare ad essere la vostra storia; in un tempo diverso, certo, ma ugualmente storia di un sindacalismo forte perchè libero.
Buon lavoro.
Grande Cinzia, affonda il colpo e vince 1 a 0.
La storia ci aiuta sempre ma chi la conosce? Dubito che i sindacalisti di oggi sappiano di cosa stai parlando. Speriamo almeno che, incuriosito, chi non sa studi e tragga ispirazione!