In un tempo in cui la novità per alcuni cattolici sembra essere quella di creare un nuovo “spartito” per lo sviluppo dell’Italia, direi, invece, che è necessario ripartire da una politica “sensata”.
Vi siete mai chiesti, infatti, in che modo un politico possa/debba utilizzare i propri sensi?
Mons. Gualtiero Sigismondi, già Assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana, nel ricordo di Vittorio Bachelet, offre una interessante riflessione sui sensi del buon politico:
“L’udito apre l’uomo all’ascolto, liberandolo dalla sordità della chiusura in se stesso. È uno dei cinque sensi che può contribuire anche a “rigenerare la democrazia”, a restituire alla cultura politica e alla coscienza civile “parole di giustizia e di speranza”.
Oltre all’udito, gli altri sensi che consentono di “badare” all’anima della politica, al suo fondamento etico, sono la vista, il tatto, l’olfatto e il gusto.
La vista dell’uomo politico, candidato ad essere amministratore e a diventare statista, non soffre di miopia elettorale. Libero dalla ricerca dell’esclusivo profitto personale o di gruppo, interessato solo al perseguimento del bene comune, è sempre pronto a congedarsi, favorendo così il necessario ricambio generazionale.
Il tatto dell’uomo politico, se mosso da vigile senso critico, lo rende capace di toccare le necessità della gente, di promuovere la pace sociale, di avvicinarsi alla realtà sapendo discernere le ragioni sia dalle emozioni, sia dalle rivendicazioni. Non finge di essere vicino alla gente, accreditandosi come populista, sedotto dall’ambizione di rassomigliare ai cittadini, ma si lascia guidare unicamente dal desiderio di orientare e di promuovere la crescita della società.
L’olfatto dell’uomo politico, se guidato dal profumo dell’onestà e del rigore intellettuali, gli consente di esercitare l’arte della mediazione, in una continua ricerca non di convenienze tattiche ma di convergenze strategiche, soprattutto quelle della solidarietà, senza le quali è impossibile scrivere la storia, giocando in grande.
Il gusto dell’uomo politico, se non è condizionato dall’ansia di occupare spazi, non lo spinge a spartire la “torta” del potere, ma ad avviare processi che le emergenze etiche, civili e sociali suggeriscono. Consapevole del proprio ruolo, conferitogli dal “popolo sovrano”, risponde “a viso aperto” a chiunque gli domandi ragione del proprio operato. “Perdere la gloria per salvare l’onore” è l’unico “vitalizio” che un uomo politico, allergico al clientelismo, cerca di ottenere”.