Che Paese è l’Italia? In questi ultimi anni i Rapporti del Censis hanno descritto gli italiani in modo diverso, non sempre molto consolante: paura, rabbia, rancore, frustrazione, disillusione, addirittura cattiveria sono stati i sentimenti che hanno prevalso nella descrizione di ciò che siamo.
I Rapporti hanno riguardato la società nel suo complesso, dedicando comunque attenzione alle diverse fasce generazionali: dai millenials ai giovani adulti e dai giovani adulti agli adulti e adultissimi.
In che modo i sentimenti che hanno prevalso nella società italiana hanno contribuito a cambiare il lavoro? Quale impatto hanno avuto sul lavoro? Il riferimento non va soltanto agli imprenditori, ai lavoratori dipendenti, agli autonomi, ma anche a chi in questi anni ha legiferato in materia.
Il 23,7% degli italiani riconduce la causa del rancore diffuso di questi anni alla crescente disuguaglianza nei redditi e nelle opportunità di lavoro. Il 25% individua in una giustizia troppo favorevole nei confronti dei ricchi, dei privilegiati e dei più spregiudicati un altro elemento che giustifica il risentimento (Comunicato stampa del Censis, 6 dicembre 2019)
Il rancore e la rabbia non possono dipendere solo ed esclusivamente da una situazione di disuguagliaza nei redditi e nelle opportunità di lavoro. Come potremmo spiegarci, altrimenti, gli stati di pesante malessere che sperimenta chi vive nell’agio e nella ricchezza. Non c’è mai un’unica motivazione al malessere che proviamo, per quanto sia facile ricondurre tutto ad un’unica causa, magari quella maggiormente predominante in un determinato periodo.
Certo, il lavoro è fondamentale per la persona. Il lavoro retribuito, gratificante, che consente di vivere una vita dignitosa e aiuta a crescere spiritualmente e materialmente.
E dunque, come siamo giunti al tempo che viviamo? Da una considerevole rigidità delle posizioni contrattuali siamo giunti ad una considerevole flessibilità che, a tratti, è pura precarietà.
Tanta flessibilità, eppure il nostro Paese appare ancora ingessato, comunque incapace di crescere. Forse perchè la flessibilità “proposta” non ha riguardato finora settori che avrebbero avuto più urgenza e bisogno di un intervento legislativo?
Cosa hanno prodotto, di fatto, i nostri comportamenti e il nostro modo di interpretare e vivere il lavoro? E la nostra poca volontà di lavorare, sulla quale ha avuto la meglio il desiderio di arraffare, è scesa come pioggia leggera su questa terra o come tempesta di sabbia?
Quanto c’è di “nostro” nella società che stiamo lasciando agli altri?
In tutto questo divenire c’è un mondo che si apre, un mare di domande. In questo mare the Job Enquirer proverà a navigare, e non solo.
Il tentativo sarà anche quello di scendere in profondità, per far riemergere quanto di positivo e bello si è depositato in fondo agli abissi sotto il peso della rabbia.
Della qualità del lavoro siamo tutti responsabili.