Tanta povertà, una tendopoli, un coltello, rabbia, e accade l’inevitabile, la cronaca di un dramma annunciato. Nonostante siano passate diverse settimane dal terribile evento consumatosi alle porte di Rosarno, il capitolo denominato impropriamente “tendopoli” non può dirsi assolutamente chiuso. Così come non può considerarsi concluso il capitolo relativo alle altre numerosissime tendopoli sparse in tutta Italia.
In merito alla vicenda di San Ferdinando sono state chiamate in causa numerose istituzioni, ipotizzate diverse responsabilità. Hanno solcato il pubblico palcoscenico coloro che, come al solito, all’udire tali notizie, amano stracciarsi le vesti, per poi non curarsi affatto dei brandelli di stoltezza disseminati lungo la strada.
Eppure, quelle persone, quella povertà, emarginazione ed esclusione, rimbalzate in televisione, sui social, sono lì da tempo. Ecco perchè “tendopoli” non può assolutamente essere il titolo adatto per il capitolo di cui proverò ad occuparmi.
Quanto accaduto ha semplicemente ricordato a tutti noi che la realtà è ben più drammatica di quanto possiamo immaginare e che tutti i protocolli d’intesa di cui finora abbiamo sentito parlare, le cabine di regia e quant’altro, non hanno sortito l’effetto sperato, ossia, migliorare l’esistenza di chi si ritrova a vivere in una condizione di schiavitù psicologica e materiale, semplicemente perché privato di una possibilità di riscatto.
Oggi è il caporalato che l’impegno unitario del Governo sta provando a contrastare, ma non è il caporalato in sé il vero problema. Laddove c’è povertà, emarginazione, esclusione, ci sarà sempre qualcuno di molto più forte che vorrà imporre regole a suo vantaggio, in una partita in cui non vige un regolamento a tutela di tutti i giocatori.
Il lavoro rappresenta una possibilità di riscatto per chi è povero, anzi è la possibilità di riscatto per eccellenza, per tutti, anche per chi povero non è.
E allora? Partirò proprio dalle regole messe in campo per provare a capire cosa e chi, in effetti, si intende colpire, se queste disposizioni, in sostanza, costituiscono davvero un’arma per vincere la battaglia delle battaglie, quella che Paolo VI descriveva così nell’enciclica Populorum Progressio: «Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, una occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più: ecco l’aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d’essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio».
Anche sul nostro territorio nazionale.