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giovedì, Ottobre 3, 2024

Costruzioni e abusivismo: la verità che manca

Il termine “verità” potrebbe apparire subito inopportuno, scomodo o, addirittura, inappropriato. Tante sono le verità che dovrebbero essere raccontate all’indomani dell’evento sismico che ha interessato Ischia e ad un anno esatto dal terremoto che ha colpito il Centro Italia. Eppure, nonostante tutte le posizioni, i punti di vista diversi sulle costruzioni e sull’abusivismo, c’è una sola verità da raccontare, una sola verità manca. Vediamo perchè attraverso un testamento prezioso che lo scrittore e saggista francese Charles Pèguy ci ha lasciato nell’opera “L’Argent”, nel 1914:

“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano. Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore. La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario, o in modo proporzionale al salario. Non doveva essere ben fatta per il padrone, né per gli intenditori, né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura. E ogni parte della sedia che non si vedeva era lavorata con la medesima perfezione delle parti che si vedevano. Secondo lo stesso principio delle cattedrali. E sono solo io – io ormai così imbastardito – a farla adesso tanto lunga. Per loro, in loro non c’era allora neppure l’ombra di una riflessione. Il lavoro stava là. Si lavorava bene. Non si trattava di essere visti o di non essere visti. Era il lavoro in sé che doveva essere ben fatto”.

In queste ore si sono pronunciati tecnici, politici, sindacalisti, architetti, geologi, gente comune. L’ANCE ha avanzato una proposta all’amministrazione regionale pugliese per l’istituzione di “un osservatorio destinato ad individuare gli edifici a rischio crollo nelle aree sismiche”. Al netto della proposta apparentemente costruttiva (l’espressione è intenzionalmente scelta), è triste constatare come sia andato in scena lo spettacolo di sempre, il classico spettacolo al quale siamo drammaticamente abituati ad assistere quando si concretizzano rischi addirittura preannunciati, che riguardano soprattutto l’abusivismo edilizio (vedi allarme Legambiente).  Eppure, la verità non sta in quelle macerie, non sta nel vuoto istituzionale, nel ritardo della burocrazia. La verità, oggi, alla luce delle parole di Pèguy, provoca delle domande che non hanno nulla a che vedere con i tre fattori appena menzionati.

Quante persone, ad esempio, all’indomani del terremoto che un anno fa ha mietuto vittime nel Centro Italia, hanno verificato lo stato di sicurezza delle loro case? Il riferimento è esteso a tutto il territorio nazionale, ovviamente. Quante persone hanno costruito e fatto costruire case, edifici, osservando la legge ed impiegando materiale non scadente, con la preoccupazione di custodire uomini e donne, anche propri cari, che in quelle case e in quegli edifici trascorrono parte delle loro giornate, della loro vita? Quanti lavoratori hanno rifiutato uno sporco seppur redditizio incarico?

La massima “tutti colpevoli, nessun colpevole” non può e non deve funzionare, lo scrivevamo proprio una anno fa (leggi anche“Per una ricostruzione responsabile”). Al netto dell’entità del sisma, bassa o alta che sia, esiste una precisa responsabilità personale da accertare in merito al crollo degli edifici, delle case, in merito all’abusivismo che, in quanto tale, si smarca dai normali controlli che dovrebbero essere eseguiti su una costruzione e che nessun condono potrà mai sanare. Esiste un peccato personale che non può nè confondersi insieme alla miriade di altre responsabilità mancate nè perdere di contenuto fino ad evaporare nel nulla. La persona al centro significa anche responsabilità delle proprie azioni. Troppo comodo invocare questa espressione solo quando la persona è destinataria di un’azione ingiusta.

Charles Pèguy parla di una semplice sedia, non serve molta immaginazione per comprendere quale cura dovrebbe esserci nella costruzione di immobili concepiti per custodire la nostra stessa vita, soprattutto quella dei nostri cari. Nessuna eco di pentimento, di ravvedimento, nessun “mea culpa” è giunto alle nostre orecchie. Semmai accuse, rimpalli di responsabilità, strumentalizzazioni politiche, polvere, polvere e solo polvere.

Chissà che almeno l’eco di questa verità, semplice ma efficace, che abbiamo provato a descrivere, possa scendere come pioggia fresca d’estate su una superficie ( non solo terrena) ormai troppo arida, in modo che possiamo iniziare a respirare un’aria nuova, con tutto quello che questa può significare.

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