Vincent van Gogh scrisse che “I pescatori sanno che il mare è pericoloso e la tempesta terribile, ma non hanno mai trovato questi pericoli una ragione sufficiente per restare a riva”. Non rimangono a riva i pescatori, sanno di dover affrontare anche il mare in tempesta, perchè quello è il loro lavoro, certamente duro, ma pur sempre il loro lavoro.
Certo, oggi, i mezzi a disposizione per pescare non sono quelli in uso ai tempi di Vincent van Gogh, ma i pericoli in mare aperto, il peso della lontananza da casa, la fatica stessa, sono quelli di sempre. Noi siamo abituati a pensare ai pescatori come ai protagonisti delle storie belle e drammatiche che la letteratura offre ( i pescatori di Aci Trezza ne “I Malavoglia” di Giovanni Verga rappresentano uno dei tanti esempi da citare), come ai primi discepoli di Gesù, come alla gente di mare che in balia delle onde invoca con fede l’intervento della Vergine Maria, soprattutto in questi giorni in cui nelle diverse località costiere tante sono le feste in onore della Madonna di Porto Salvo, protettrice dei marittimi. Poco ci soffermiamo sulla vita che conduce la “gente di mare”.
L’attualità ci presenta una condizione lavorativa poco rosea per i pescatori, sia per le difficoltà citate, sia perchè, ancora oggi, nonostante il lavoro gravoso e usurante che comporta tale professione, non esiste nè una tabella per le malattie professionali dei pescatori nè un protocollo della sicurezza. E’ chiaro che il mancato riconoscimento di una malattia professionale può implicare anche il non riconoscimento di un infortunio, quindi automaticamente la mancata denuncia da parte del lavoratore dell’infortunio stesso, per ovvie ragioni, come la paura di perdere il posto di lavoro.
Da tempo la FLAI CGIL ha avviato un’indagine conoscitiva su tutto il territorio nazionale, un’ indagine sui sintomi che gli addetti del settore lamentano, da sottoporre alla successiva diagnosi di professionisti che siano in grado di assistere la categoria e redigere un elenco delle patologie più diffuse tra i pescatori. Il lavoro che il sindacato sta svolgendo con il coinvolgimento di tutte le marinerie italiane riguarda la messa in evidenza della correlazione tra l’attività svolta a bordo e la patologia che ne può derivare, in modo che venga istituita una tabella per le malattie specifiche del settore.
“La maggior parte dei pescatori –secondo quanto hanno illustrato, nel 2015, i sindacalisti Micci e Rossi della FLAI CGIL di Grosseto – nel giro anche di pochi anni di lavoro, accusa dolori alle articolazioni, sia superiori che inferiori, frequenti eritemi da esposizione, dolori alla schiena e cervicali, problemi di udito, solo per citare alcuni risultati dell’indagine”.
Lo stato di salute dei lavoratori della pesca è un tema importantissimo per un settore che, come ha ricordato anche Giovanni Mininni, segretario nazionale Flai Cgil, “viene considerato a torto marginale e paga tale marginalità anche sotto l’aspetto della salute e della sicurezza. Basti pensare che ancora si è in attesa dei decreti attuativi che estendano alla pesca le normative previste dal Testo Unico 81/2008”.
Le parole pronunciate dal segretario Mininni risalgano al 2014 e nonostante la Flai Cgil (il 17 settembre dello stesso anno) abbia consegnato alla segreteria della Presidenza della Camera ed al Presidente del Senato e Presidente della Repubblica 13.199 firme raccolte tra i pescatori nelle marinerie italiane per chiedere l’applicazione del T.U. su Salute e Sicurezza, per avere le stesse tutele e pari dignità degli altri lavoratori, a tutt’oggi, la situazione rimane invariata. Eppure, come ha più volte ricordato Romolo Piscioneri (FAI-CISL di Reggio Calabria) “la pesca non può essere considerata folklore, ma un lavoro faticoso e non privo di insidie e di perdite di vite umane.”
Proprio per questa situazione di stallo, il 26 maggio scorso, in un’audizione alla Camera, i rappresentanti delle tre sigle sindacali di categoria, FLAI, FAI, UILA, hanno chiesto, ancora una volta, che “il lavoro del pescatore sia riconosciuto come usurante, che possa godere delle deroghe e delle agevolazioni previste dalla legge, e l’esigenza dell’applicazione del Testo unico sulla sicurezza (dlgs 81/2008) che nel settore resta ancora inesigibile, determinando una inaccettabile arretratezza negli standard di tutela e di rappresentanza”.
Bisogna ammettere che è strano che in un settore come quello della pesca, che non vanta certo pochi anni di attività, siano ancora presenti simili lacune che minano la tutela della salute degli addetti. Tuttavia, alla luce di quanto esposto e per molti altri motivi che sarebbe utile sviscerare, la categoria dei lavoratori della pesca dovrà affrontare numerose sfide per “rimanere a galla” e continuare a far funzionare un settore importante per tutta l’economia italiana. La speranza è che il lavoro dei sindacati continui sulla strada intrapresa e possa così servire a tenere alta l’attenzione su problemi tutt’altro che marginali, problemi che riguardano la vita della gente di mare, la nostra gente.