Finalmente la legge per il contrasto al caporalato e al lavoro nero in agricoltura è una realtà. Possiamo gioire anche se la battaglia contro le schiavitù sul lavoro è tutt’altro che conclusa. Il prezioso e ampio contributo della dott.ssa Simona Loperte, Segretaria Nazionale Movimento Lavoratori di Azione Cattolica.
La Camera dei Deputati ha approvato definitivamente la Legge per il contrasto al caporalato e al lavoro nero in agricoltura. Il plauso è stato unanime e nei numerosi commenti, giunti dai diversi schieramenti politici, ha prevalso la parola “civiltà”: atto di civiltà, legge di civiltà, pagina di civiltà e di giustizia. Che civiltà è la nostra, oggi?
Come ci insegna la Laudato Si’, la civiltà tecnologica che caratterizza i nostri giorni ha da un lato indiscutibilmente portato ad un progresso capace di migliorare notevolmente la qualità della vita dell’essere umano, dall’altro ad una fiducia illimitata nella tecnica, capace di risolvere tutti i problemi dell’umanità, tanto da spingere papa Francesco a parlare di paradigma tecnocratico che, oltre a condizionare gli stili di vita e a modellare le possibilità sociali secondo i dettami di determinati gruppi di potere, ha esercitato il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica.
L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, inoltre, fa riferimento al relativismo pratico che caratterizza la nostra epoca. Quando l’essere umano pone sé stesso al centro dell’universo, accanto all’onnipresenza del paradigma tecnocratico e all’adorazione del potere umano senza limiti, tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi immediati. La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola ai lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito.
E’ la stessa logica “usa e getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare più di quello di cui realmente si ha bisogno. (LS n.123) In tale contesto, papa Francesco afferma con forza il principio della necessità di difendere il lavoro.
E’ indispensabile integrare il valore del lavoro in qualunque impostazione di ecologia integrale, capace cioè di integrare nelle sue diverse dimensioni il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Emerge allora la necessità di una corretta concezione del lavoro, sul senso e la finalità dell’azione umana sulla realtà. Qualsiasi forma di lavoro, infatti, presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé (cfr LS n.125). Tale concezione dovrebbe essere alla base di tutte le leggi che tentano di regolamentare il mercato del lavoro, come il ddl da qualche giorno approvato contro il caporalato!
Nel comunicato stampa del Ministro delle politiche agricole e forestali, datato 18 ottobre, viene evidenziato come il provvedimento approvato sia utile a mettere in campo uno sforzo organico e coordinato tra le diverse istituzioni e le Forze dell’Ordine per combattere il fenomeno del caporalato, in modo che non possano esserci più schiavi nei campi. Cosa vuol dire, secondo Lei, essere schiavi nella modernità?
Ai nostri giorni vi sono tante e variegate forme di schiavitù, di dipendenza, come ad esempio il consumismo ossessivo che rappresenta il riflesso soggettivo del paradigma tecnico-economico, di cui sopra, e che vede le persone travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue (LS n. 203).
Focalizzando la nostra attenzione alla dimensione lavorativa, le statistiche ci mostrano con evidenza scientifica che il mercato del lavoro in Italia non riesce ad essere inclusivo per tutte le persone. La partecipazione al mercato del lavoro è aumentata dopo la crisi, ma resta una delle più basse del’UE, con un divario particolarmente evidente per le donne ed i lavoratori più anziani.
Per la maggior parte degli esseri umani il lavoro retribuito è però la più importante e spesso l’unica fonte di guadagno. Poter lavorare significa, dunque, non solo poter provvedere alle spese proprie e dei propri cari, ma significa realizzarsi, migliorare se stessi e la società in cui si vive. Il diritto alla giusta retribuzione, poi, garantisce la piena partecipazione alla vita sociale. Essere totalmente o in parte dipendenti dagli altri, come avviene per i disoccupati, gli esclusi dal mondo del lavoro, significa solitudine, dubbio interiore, disprezzo sociale e malattia (cfr Docat n.147).
Tale situazione è propria anche di coloro che vivono situazioni di lavoro precarie e, più in generale, di una nuova categoria sociale denominata “working poor”: coloro che pur lavorando non riescono ad essere autosufficienti. Non si tratta semplicemente di salari insufficienti, ma anche di mancanza di tutele e di sistemi di protezione sociale. Negli ultimi anni, infatti, si è avuta una transizione epocale che ha visto il mondo del lavoro “investito da vasti e radicali cambiamenti culturali e strutturali, in contesti spesso privi di supporti legislativi, formativi e di assistenza sociale” (CDS n. 314 ).
Il recentissimo rapporto Caritas- Rapporto 2016 su povertà ed esclusione sociale in Italia e alle porte dell’Europa- riporta che “le situazioni più difficili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno, dalle famiglie con due o più figli minori, dalle famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di un’occupazione o operaio e dalle nuove generazioni”. Per la prima volta in Italia, “la povertà assoluta risulta inversamente proporzionale all’età, diminuisce all’aumentare di quest’ultima. La persistente crisi del lavoro ha infatti penalizzato (o meglio sta ancora penalizzando) soprattutto giovani e giovanissimi in cerca di una prima/nuova occupazione e gli adulti rimasti senza impiego”. Queste a mio avviso sono le moderne schiavitù che stanno privando, soprattutto le giovani generazioni, della libertà di pianificare il proprio futuro e, soprattutto, di sperare!
Accanto alla piaga dello sfruttamento dei lavoratori nei campi vi è quella dei falsi braccianti agricoli. I primi sono schiavi dei caporali, i secondi della menzogna, dal momento che non lavorano effettivamente e truffano soldi all’INPS. Questa realtà chiama in causa una cultura fatta di compromessi al ribasso, di favori e omertà. Che fine fa il primo articolo della nostra Costituzione per tutti coloro che sono coinvolti in questo girone infernale?
Il primo articolo della nostra Costituzione sancisce in modo esplicito il diritto-dovere di ogni uomo «di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali», e«di contribuire al bene della comunità nazionale».
L’on. Fanfani, infatti, disse: «Dicendo che la Repubblica è fondata sul lavoro, si esclude che essa possa fondarsi sul privilegio, sulla nobiltà ereditaria, sulla fatica altrui e si afferma invece che essa si fonda sul dovere, che è anche diritto ad un tempo per ogni uomo, di trovare nel suo sforzo libero la sua capacità di essere e di contribuire al bene della comunità nazionale. Quindi, niente pura esaltazione della fatica muscolare, come superficialmente si potrebbe immaginare, del puro sforzo fisico; ma affermazione del dovere d’ogni uomo di essere quello che ciascuno può, in proporzione dei talenti naturali, sicché la massima espansione di questa comunità popolare potrà essere raggiunta solo quando ogni uomo avrà realizzato, nella pienezza del suo essere il massimo contributo alla prosperità comune» (Cerruti C., 2012).
Alla base di queste parole dell’on. Fanfani vi è un principio riconosciuto dalla Dottrina Sociale della Chiesa, ossia la reciproca complementarietà tra il diritto ed il dovere di lavorare. Diritti e doveri sono indissolubilmente congiunti. Il Magistero sottolinea la contraddizione insita in un’affermazione dei diritti che non preveda una correlativa responsabilità: «Coloro pertanto che, mentre rivendicano i propri diritti, dimenticano o non mettono nel debito rilievo i rispettivi doveri, corrono il pericolo di costruire con una mano e distruggere con l’altra» (CDS n. 323).
Il lavoro si configura allora come un diritto ma anche un “obbligo morale in relazione al prossimo , che è in primo luogo la propria famiglia, ma anche la società, alla quale si appartiene, la Nazione, della quale si è figli o figlie, l’intera famiglia umana, di cui si è membri: siamo eredi del lavoro di generazioni e insieme artefici del futuro di tutti gli uomini che vivranno dopo di noi”(CDS n. 274).
I lavoratori dei campi sfruttati, così come i falsi braccianti sono il frutto della disgiunzione tra diritti e doveri del mondo lavorativo. Sono frutto, cioè, di un’errata concezione del lavoro che chiama in causa l’intera società. Vi è, dunque, la necessità di recuperare orizzonti etici entro cui costruire percorsi di impegno per una corretta educazione al significato cristiano del lavoro.
In questi ultimi mesi un tema caldo nel dibattito pubblico è stato l’utilizzo indebito dei voucher, in quanto parrebbe “mettere in campo” un’altra forma di schiavitù. Qual è la questione, secondo Lei: abbiamo pochi strumenti e poche leggi per combattere le ingiustizie sul lavoro oppure gli strumenti e le leggi sono sufficienti ma è il loro impiego che è errato?
La comparsa dei voucher nel mercato del lavoro italiano risale al 2003 con l’introduzione del lavoro accessorio promossa da Marco Biagi con l’intento di combattere il lavoro illegale regolarizzando migliaia di piccole prestazioni occasionali, come ad esempio il lavoro di vendemmia e raccolta della frutta o la distribuzione di volantini pubblicitari, che occupava per qualche giorno studenti e pensionati. Come sempre, però, si è assistito ad un abuso di tale strumento che ha finito per incentivare ulteriormente la frammentazione dei rapporti di lavoro. Personalmente, da ricercatrice precaria della ricerca pubblica italiana, già nel 2009 sono stata pagata per ben due anni con un voucher di Alta formazione, a cui corrispondevano circa 6 euro all’ora senza contribuzione e nessun diritto!!!
Tornando ai giorni nostri, i danni per i lavoratori coinvolti sono notevoli: con sei mesi di lavoro pagato con voucher (9.333 € lordi, il tetto annuo) si accantonano all’Inps gli stessi contributi previdenziali che si maturano in due mesi di lavoro pagato mille euro, inoltre i voucheristi non possono godere del diritto agli assegni familiari e alla Naspi (la nuova disoccupazione). In pratica (come rilevato da un recente studio promosso dalla Cisl Veneto) un lavoratore retribuito solo con voucher per maturare la pensione con i requisiti minimi dovrebbe lavorare 126,5 anni!
La legge contro il caporalato ( la cui funzione di intermediazione illecita di manodopera può essere nascosta sotto forme apparentemente legali come cooperative o agenzie interinali) estende anche la responsabilità e le sanzioni per i datori di lavoro conniventi. Quanto ha inciso e incide, a Suo avviso, la cosiddetta zona grigia nella proliferazione del fenomeno del caporalato e del lavoro nero in agricoltura? La nuova legge riconosce delle attenuanti a coloro che, ravvedutisi, decidano di collaborare con le autorità.
Connivenza, complicità, omertà, individualismo, paura, indifferenza, generano e alimentano le zone grigie del malaffare e, anche in questo caso, credo abbiano inciso molto. La legge contro il caporalato è un importante traguardo sia in termini di contenuto che di metodo. Per quanto riguarda i contenuti, vengono inasprite le sanzioni (da 1 anno a 8 anni di reclusione) estendendole non solo ai caporali ma anche alle aziende che utilizzano questi aguzzini, vengono rafforzate le attenuanti per chi collabora con le Autorità, i ricavati delle sanzioni pecuniarie andranno ad alimentare il Fondo antitratta inoltre le tutele contrattuali (salario, rispetto dell’orari di lavoro, norme igienico sanitarie, sicurezza nei luoghi di lavoro) vengono incluse tra le condizioni utili per far scattare il reato di sfruttamento.
Altro elemento positivo della legge è stato il coinvolgimento del Governo e del Parlamento, delle parti sindacali e datoriali che di concerto hanno operato verso un comune obiettivo. Si tratta sicuramente di un significativo passo in avanti a favore della dignità del lavoro agricolo e dei lavoratori nei campi , che necessita tuttavia di ulteriori sviluppi non derogabili. Come ben espresso dalla dott.ssa Maria Pangaro Delegato Nazionale Giovani di MCL, con cui in questi giorni ci siamo confrontate al seminario promosso dall’ECWM European Christian Worker Movement ad Avila, nel decreto manca l’intervento sulla grande filiera agricola, sulla grande distribuzione e sulla definizione di prezzi di vendita tali da garantire condizioni di lavoro dignitose.
Caporalato non vuol dire solo sfruttamento lavorativo. Vuol dire droga che viene data agli operai perchè “rendano” di più; vuol dire prostituzione, perchè “se porti una donna al capo ti faccio lavorare”; significa violenza verbale e fisica. Qual è l’impegno del Movimento Lavoratori su questo versante e il contributo che porterete alla prossima Settimana Sociale dei Cattolici italiani (Cagliari, dal 26 al 29 ottobre 2017) che avrà come tema“Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”?
Il Movimento Lavoratori di Azione Cattolica, che mi onoro di servire da segretaria nazionale, è volto a formare laici maturi e responsabili al servizio della società in cui vivono, attraverso iniziative che durante tutto l’anno vedono impegnati i numerosi volontari ai vari livelli nazionale, regionale e diocesano. Attraverso la formazione ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa ed il metodo del discernimento comunitario, ci sentiamo chiamati ad essere discepoli del mondo contemporaneo, in grado cioè di comprenderne i valori ed i disvalori e di meglio orientare il nostro impegno apostolico. “Nessuno, infatti, può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e la giustizia sociale” (cfr EG n.201). Tutti siamo chiamati ad impegnarci affinché “ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo”, dall’incontro con Gesù Cristo capace di cambiare la storia! I seminari di studio, i campi inter-regionali e nazionale, le Feste di San Giuseppe, la veglie del 1° maggio, il Concorso delle idee (http://mlac.azionecattolica.it ).
Tante sono le iniziative attraverso cui cerchiamo di implementare una innovativa pastorale sociale capace di coinvolgere, di spronare alla partecipazione, di educare alla lettura dei tempi, di diffondere la cultura della progettualità, di realizzare reti tra comunità civile ed ecclesiale, di esportare esperienze e buone prassi creando vere e proprie alleanze tra soggetti educativi differenti. In particolare, negli ultimi due anni il Mlac è stato impegnato in uno scrupoloso discernimento dell’attuale riforma del lavoro- il Jobs Act- e delle sue ricadute sulla vita dei lavoratori. In vista della 48° Settimana Sociale di Cagliari 2017, il Mlac ha recentemente vissuto il seminario di studio “Le trasformazioni del lavoro. Profeti nella storia” a cui hanno partecipato l’on. Luigi Bobba, sottosegretario di Stato presso il Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali, e la dott.ssa Tiziana Ciampolini, presidente del programma SNODI di Caritas Italiana.
Per meglio accompagnare la vita delle persone a vivere quest’epoca di trasformazioni e per partecipare alla vita istituzionale, per verificarne l’operato a servizio delle persone. Ma anche per interrogarsi sulla necessità di farsi prossimo, di ascoltare e di realizzare reti di aiuto, anche materiale, per le nuove povertà in un’Italia caratterizzata da circa sette milioni di poveri. In un costante processo di umanizzazione del lavoro, affinché questo possa essere dignitoso per tutti: una vera e propria sfida per essere capaci di una nuova cultura del lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale!